“Terregiunte” by Vespa e Masi: un modo “figo” per chiamare un Tavernello

Dove sono le istituzioni quando si usa la parola “Amarone” (docg) per promuovere un “vino da tavola”?


EDITORIALE –
Nasce “Terregiunte“, il “vino d’Italia” che sancisce il matrimonio tra Bruno Vespa e il patron di Masi Agricola, Sandro Boscaini. Un modo “figo” per chiamare una tipologia di vino che già esiste, in Italia: il “vino d’Italia”, la cui immagine più fulgida è costituita dal Tavernello.

“Terregiunte” è infatti il blend tra le uve Primitivo (di Manduria) e quelle tipiche del re dei vini rossi del Veneto, per lo più Corvina e Corvinone. Vendemmia 2016. Tredicimila bottiglie, sul mercato a partire da novembre. “Era una mia vecchia idea” spiega Vespa, che ieri ha riunito stampa e politici all’Hotel Cristallo di Cortina d’Ampezzo.

Tra gli altri, è intervenuto il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Collegato via Skype il suo omologo pugliese, Michele Emiliano. Non poteva mancare l’enologo Riccardo Cotarella, firma e “prevosto” di questo “matrimonio enologico tra Nord e Sud Italia”.

“Terregiunte – precisa Bruno Vespa – è un ‘nuovo Vino’, un blend, miscela di due o più uve per ottenere un taglio unico: di Primitivo, vino dallo spiccato carattere mediterraneo, e Amarone”.

Quella di Vespa e Masi Agricola è tutto tranne che una novità. Il riferimento non è a quella clamorosa gaffe di Contri Spumanti, colosso veneto che fino al 2016 presentava sul proprio sito web un’etichetta – il Primitivo di Manduria Doc “Contessa Carola” – dichiarando sulla scheda tecnica di aver utilizzato la Corvina.

Bensì al più noto, quanto bistrattato, “vino d’Italia”: il Tavernello. Caviro, l’azienda che lo produce nel famigerato Tetra Pak, ma anche in bottiglia, lo ottiene “blendando” di anno in anno le uve prodotte dai soci di tutto il paese, dalle regioni del nord a quelle del sud. Ottenendo, grazie anche all’abilità degli enologi, un prodotto uguale di anno in anno. Di vendemmia, in vendemmia.

IL SILENZIO DELLE ISTITUZIONI
Potrà non piacere il paragone tra “Terregiunte” e il Tavernello, ma tant’è. E fa specie che politica e istituzioni del vino non intervengano, anzi avallino questo progetto di marketing di due privati, che si fregiano dell’utilizzo della parola “Amarone” per promuovere un prodotto che non è Doc, non è Docg e non è un Igt. È un Tavernello. Solo più figo.

Infine, diciamocelo. Questo vino, nato dall’improvviso (ma mica tanto, cisternamente parlando) amore tra il Veneto e la Puglia, è anche colpa vostra. Di voi critici enogastronomici, che bandite il Sagrantino di Montefalco come “imbevibile” e “troppo tannico”, gioendo alle versioni detanninizzate, morbide come la gommapiuma a 6 mesi dall’imbottigliamento.

E’ colpa di chi chiede “l’Amarone pronto subito“, perché così “fresco e beverino”. Un po’ come è colpa di chi si è “stancato di aspettare 10 anni un Barolo”. Bevete questo, allora. Bevete il “blend d’Italia”. O le etichette di Caviro, enologicamente perfette e senza gli inutili, poetici fronzoli di “Terregiunte”. Cin, cin.

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